Il crollo del mio idolo

Dopo l'abbraccio di New York, la spensieratezza di San Diego, l'illusione scintillante di Las Vegas... ecco l'impatto. Diverso. Sordo. Quasi un'eco lontana delle aspettative.

Anche se cammino, sento la città scivolarmi addosso come pioggia fine. Non il sole accecante, non i colori saturi che mi avevano raccontato. Un velo grigio opaco, quasi malinconico, che appanna i contorni. La "città degli angeli" sembra aver perso un po' di luce oggi.

Marciapiedi deserti, un'assenza di umanità che inquieta. Le auto sfrecciano, protagoniste indiscusse di questo paesaggio urbano. Io, un granello di polvere che si muove a fatica in un mondo fatto per le ruote. Le strade... un po' tristi, come dimenticate.

Poi la vedo. L'High School #9. Un'astronave atterrata nel cemento. La torre a spirale che si contorce verso un cielo plumbeo. Un gesto audace, un tentativo di scolpire l'arte nell'anonimato di questa metropoli orizzontale.

Un'architettura che non chiede permesso. Si impone, con le sue forme scultoree, quasi ali spiegate pronte al decollo. Un contrasto netto con l'appiattimento circostante.

Mi sento un osservatore esterno. Un turista spaesato in un film senza comparse. L'High School #9 è lì, imponente, un'affermazione di intenti. Ma il contesto... il contesto la inghiotte, la isola nella sua grandezza.

Forse è questo il punto. Questa città non si svela facilmente. Richiede un altro sguardo, un altro ritmo. Ma per ora resta questa impressione: un'architettura che cerca di farsi notare in una sinfonia di clacson e asfalto bagnato. Un'audace scultura nel bel mezzo di un'incomunicabilità urbana.

High School #9_Coop Himmelb(l)au

Los Angeles, California_2008

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